Circa sei milioni di
Ebrei sono stati uccisi dalla furia nazista, il mondo si è indignato di fronte
a tanta barbarie, eppure la parola genocidio continua a ripresentarsi, ad
essere una ferita aperta.

Leggendo il libro di Antonia
Arslan “La masseria delle allodole”, ad esempio, abbiamo potuto prendere coscienza di un
altro, altrettanto inumano tassello di quel puzzle di morte quale è stato il XX
secolo: Il genocidio armeno, 1915-1916. E, ancora una volta, oltre un milione e
mezzo di Armeni sono stati sottoposti a crudeli deportazioni e violenze. Tuttora,
il governo turco si oppone al riconoscimento di tale genocidio, poiché non
deliberato dal governo e dettato dalla posizione filorussa della popolazione
armena.

Pensiamo poi al genocidio ruandese dell'anno 1994, scatenato dall'odio interetnico tra Hutu e Tutsi, dalle differenze fisiche, trasformate, ancora una volta, in motivo di discriminazione e caratterizzato dalle violenze efferate contro quasi un milione di persone. A tal proposito, abbiamo guardato il film “Hotel Rwanda” (2004) che ben descrive la spietatezza degli avvenimenti, richiamando l'attenzione verso un genocidio poco conosciuto.
Si aggiungono lo sterminio di circa venti milioni di
cittadini sovietici voluto da Stalin, così come il genocidio dei comunisti
indonesiani durante gli anni Sessanta, del popolo cambogiano (1975-1979) e
tanti altri, ancora riposti nel cassetto dell'oblio. Pertanto sorge naturale la
domanda: Impareremo mai dalla storia?
Virginia Caccia
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