OLEG MANDIĆ, LA TESTIMONIANZA DELL'ULTIMO BAMBINO DI AUSCHWITZ




L’aver portato alla luce i crimini della Repubblica Sociale nella penisola slava, fatti che spesso vengono omessi dalla storiografia italiana, ha commosso Oleg Mandić, che per la prima volta ha sentito parlare anche delle colpe degli italiani, e non solo quelle dei tedeschi, nel prendere parte direttamente al processo di deportazione.
Quest’ultimo ha preso parola nell’ultima ora della conferenza, raccontando la sua toccante esperienza all’interno del campo di Auschwitz. Ha iniziato dalle sue origini, dalla vita dei suoi nonni fino al fatidico 8 luglio 1944 quando arrivò a Birkenau, con un treno merci proveniente da Trieste. Una volta finito il viaggio insieme alla madre, alla nonna e agli altri prigionieri politici, fu condotto in un grosso edificio, dove gli venne imposto di spogliarsi, consegnare i suoi beni e di comunicare le proprie informazioni personali. Era arrivato ad Auschwitz.
Ci racconta come durante gli otto mesi di permanenza nel campo, a causa di una normale febbre, durante la procedura di trasferimento dal campo femminile a quello maschile fu spostato nel reparto dei gemelli di Mengele, dove rimase fino alla liberazione del campo. Qui ebbe modo di conoscere il Dr. Mengele che, ad un undicenne ormai abituato a grida e violenze, parve un uomo gradevole e dai modi gentili, l’unico che si rivolgeva a lui in maniera pacata. Seppe solo poi le atrocità e gli esperimenti che Mengele commise al di là della porta da cui fratelli e sorelle gemelle non fecero più ritorno. Oleg però non venne mai toccato da lui, al contrario rimase in quel reparto fino a che non giunse una lettera direttamente dal governo russo, che sotto richiesta del nonno di Oleg, al tempo capo dello stato jugoslavo, ordinava l’immediato trasferimento della famiglia Mandić a Mosca. Questo avvenne circa 10 giorni dopo la liberazione del campo, Oleg fu dunque l’ultimo bambino ad andarsene da Auschwitz.
Quando ha finito di raccontare la sua storia il signor Mandić era chiaramente commosso e turbato dai ricordi che gli sono tornati alla mente, ma allo stesso tempo consapevole dell’importanza della sua testimonianza e di quanto questa sia indispensabile per educare le future generazioni alla pace e alla tolleranza verso il prossimo, per far sì che una pagina così buia della storia non si ripeta mai più.

Graziani
De Franceschi

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