LA RESPONSABILITÀ DELLE NUOVE GENERAZIONI


Dopo il lungo intervento della professoressa Bolla che ci ha parlato di responsabilità, partendo da un’immagine ed un esempio di responsabilità, è stato dato spazio ai ragazzi per esprimere le proprie opinioni e porre domande sulla questione e sull’intervento.
La prima riflessione si concentra sulla parola che si legge entrando nel memoriale della Shoah di Milano, ovvero indifferenza. Che peso bisogna dare a questo termine, soprattutto in questo periodo storico?       
Questa parola vuol dire innanzitutto apatia, ovvero non coinvolgimento, ma anche non fare la differenza, appiattire tutto e questo comincia nel momento in cui noi aderiamo a slogan o formule pensate, ma generali e non riusciamo a coinvolgerci. Si nota questo problema anche nei confronti della Giornata della Memoria. Questa reazione è un prodotto di un eccessivo e non elaborato coinvolgimento emotivo. L’ empatia è condita di emozioni e la troppa empatia risulta ugualmente negativa.  Si è scelto di mettere indifferenza sul muro e si fa riferimento anche ad Hannah Arendt per sottolineare il comportamento di chi voltava la testa dall’altra parte. Atteggiamento che ritorna oggi. Per farci capire meglio la professoressa cita  anche un film che si intitola “Shoah” in cui venivano intervistati i contadini, il regista chiede a loro se non sentissero i rumori o la puzza che veniva fuori dalle camera a gas. Loro  tacciono e si guardano le scarpe. Questa è l’indifferenza che viene evocata al Memoriale della Shoah. Con questa parola ritorna anche il tema della responsabilità, ci porta come esempio il  governo tedesco nazista per cui parlare di responsabilità collettiva vuol dire che tutti e nessuno è responsabile. Fare la differenza e farci coinvolgere è una responsabilità di tutti.
Un altro ragazzo chiede quanto i social possano agire sull’indifferenza delle persone. Dice che lui stesso quando naviga sui social media, in cui ci sono flussi di parole e immagini,  non  prova nessuna emozione.
Per la Boella i media danno racconti della cronaca ed eventi drammatici e questa successione crea assuefazione. Qui funziona il fatto di fermarsi e non lasciarsi trasportare dal flusso delle immagini di vario genere. Unica esperienza possibile non è un’immagine che può essere del tutto realistica, in queste immagini bisogna pensare che c’è la realtà e noi ne facciamo parte. Per lei l’importante è esserci perché lo sviluppo della tecnologia non riesce a togliere la realtà. Bisogna astrarsi ed isolarsi anche se questa seconda realtà interagisce con noi totalmente, finché non saremo clonati.
L’ultima provocazione lanciata da un ragazzo che dice:
“La responsabilità morale che ognuno di noi ha può essere soddisfatta solamente con un interesse e se invece non sia necessaria un’azione concreta di fronte alle ingiustizie?”
Per non si parla di dimensioni corporee, ma di posture corporee e agire non è sempre produrre del bene, agire è muoversi nel mondo dipendentemente dalla propria corporeità. Il corpo è l’ interfaccia nei confronti del mondo. Agire vuol dire anche solo parlare o uscire di casa purché si affronti il rischio del mondo, rischio di tutto ciò che è imprevedibile. Agire è prendere posizione in relazione a ciò che accade. Agire insieme è fondamentale. Si agisce prendendo posizione, ma non in maniera solo individualistica. Esiste una modalità di agire insieme ad altri, ma a volte agire in gruppo diventa anche deresponsabilizzante.
L’incontro è terminato con quest’ultima riflessione, in cui si è ritornati al punto iniziale della responsabilità, tema centrale e portante dell’intervento di Laura Boella.


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